Le regole che un genitore cerca di ottenere a tavola dai figli e che quest’ultimi cercano di mettere in discussione tramite i capricci sono generalmente:

  • Imparare a mangiare senza farsi imboccare
  • Mangiare tutto ciò che è presente nel piatto
  • Non giocare a tavola
  • Mangiare tutti i cibi proposti dal genitore
  • Non alzarsi da tavola

Tuttavia può succedere che il bambino opponga una straziante resistenza e il genitore non riesca a far rispettare queste poche ma fondamentali regole. Abbiamo visto nei precedenti articoli come sono le tentate soluzioni fallimentari che mettiamo in atto a mantenere il problema alimentandone la struttura. Il tentativo fallimentare messo in atto dai genitori come G.Nardone e collaboratori presentano nel libro “aiutare i genitori ad aiutare i figli” è quello dell’esortazione.

Vediamo qui le varie tipologie di esortazione individuate:

  • Forzare e fare pressioni: Il bambino impara prestissimo a sostenere la sfida con i grandi a tavola. Tuttavia la variante più utilizzata di fronte al rifiuto ostinato di mangiare è proprio quella di forzare e fare un lungo e straziante braccio di ferro con il proprio figlio. I motivi dell’insistenza vanno ricercati nelle preoccupazioni comuni di ogni buon genitore: assicurare nutrimento adeguato al proprio piccolo. Il problema di questo metodo è che l’insistenza si trasforma mano a mano in costrizione così impedendo al bambino di sperimentare la sensazione di piacere che naturalmente dovrebbe accompagnare l’esperienza del pasto.
  • Invogliare/promettere: Un altro tentativo è quello di promettere ai bambini delle ricompense dopo che hanno assunto il comportamento desiderato. Questa appare come una tentata soluzione efficace, in quanto il bambino tendenzialmente accetta, dopo un po’ di capricci, di fare quello che gli viene indicato dai genitori. Purtroppo, quando diventano modalità ricorrenti di relazione, il bambino impara in fretta che vale la pena fare i capricci in modo da avviare una negoziazione con il genitore per ottenere il premio. Quindi il premio rinforza il comportamento dei capricci ed il piacere di mangiare viene sostituito dal piacere di ottenere un vantaggio.
  • Fare confronti: Qualsiasi genitore, almeno una volta, ha utilizzato il metodo del senso di colpa per far pressione sui figli. I metodi più utilizzati sono: i bambini affamati del terzo mondo, i nonni che mangiavano patate tutti i giorni, lo spreco che è un peccato mortale. Questo tentativo è fallimentare in quanto gli argomenti utilizzati dai genitori sono lontani dal <<qui e ora>> del bambino e il senso di colpa sollecitato è in netto contrasto con il piacere di mangiare. Anche in questo caso il risultato è l’opposizione tenace di fronte al piatto.

 

Infatti è stato dimostrato come uno dei traguardi per lo sviluppo dell’autonomia durante la prima infanzia (2-5 anni) sia proprio la capacità da parte del bambino di sperimentare la propria influenza e il proprio potere sui genitori. Partendo da questo presupposto teorico è importante tenere a mente che questi comportamenti provocatori ed oppositivi non sono da patologizzare, ma anzi sono da cavalcare in quanto simbolo di crescita e di autonomia del nostro bambino. Come fare senza tuttavia tralasciare gli obiettivi dei genitori?

Una delle soluzioni proposte da G.Nardone e collaboratori ci appare interessante e a nostro parere deve essere un po’ come una linea guida che il genitore deve assumere.

Il primo passo è senza dubbio, come abbiamo accennato più volte, è quello di interrompere subito le tentate soluzioni fallimentari che stiamo mettendo in atto, che nel concreto significa sottrarsi alla sfida con il nostro abile manipolatore. Questo passo si traduce concretamente nel guidare il genitore a bloccare il proprio interventismo e studiare la situazione che, successivamente, potrà gestire in maniera differente. In questa fase può aiutare la “tecnica della congiura del silenzio”. I genitori devo quindi evitare di parlare anche tra di loro del problema, soprattutto a tavola ed interrompere quindi ogni forzatura a mangiare. Questo in base a quello che abbiamo detto prima toglie al bambino i vantaggi secondari che otteneva con il comportamento problematico (le ricompense del punto 2).

Il secondo passo, è la negazione, o meglio vietare per ottenere. Il genitore dovrà mettere in pratica dei piccoli “boicottaggi”: fare porzioni minime del piatto, gustare pietanze prelibate ottenendo piacere, dichiarare che certi cibi sono <<solo per i grandi>> vietandone l’assaggio, non apparecchiare per chi non ha appetito (questo per i bambini che iniziano dapprima a fare i capricci). È stato dimostrato inoltre da alcune ricerche che commettere degli errori volontari in modo sistematico nell’attività che si sta svolgendo corrisponde a frustrare il sintomo, spingendo così il bambino ad abbandonare la rigida posizione. Ad esempio per un bambino che vuole farsi imboccare e rifiuta di mangiare da solo (può essere utile essere molto distratti durante questa attività, allontanarsi per rispondere al telefono, sporcarlo accidentalmente, lasciare freddare il cibo)

In conclusione queste nuove regole sollecitano nel bambino una naturale ribellione, che come abbiamo detto prima fa parte del suo processo di crescita ed autonomia, la differenza è che non è più il genitore che insegue il bambino ma viceversa. Tutto ciò modifica la rigida interazione tra esortazione e rifiuti riportando a tavola un clima sereno e disteso.

Come dice G.Nardone:

Nella realazione tra un adulto e il proprio figlio c’è tutto quello che un genitore ha bisogno di sapere per fare bene il proprio mestiere.

Come scrive Antoine de Saint-Exupéry:

Gli adulti non capiscono mai niente da soli ed è una noia che i bambini siano sempre costretti a spiegar loro le cose

logo-ultimoLo studio Battinelli-Scozzi si occupa anche di lavorare con i genitori nelle difficoltà di gestione  dei propri figli. Seguendo il modello di intervento strategico si fa consulenza solo ai genitori evitando di far venire in seduta il bambino, in quanto delle vesta scomode del paziente se ne devono far carico i genitori, che diventano dei veri e propri collaboratori dello psicologo nel progetto di intervento sul figlio imparando e costruendo insieme delle strategie ad hoc da utilizzare per affrontare le difficoltà in famiglia.