Viviamo immersi in una società dove la ricerca di sicurezza è una costante.
Posti di fronte a decisioni critiche, quando le certezze vacillano, ci aggrappiamo disperati al senso critico, al raziocinio o, in alternativa, ci abbandoniamo tra le braccia di verità rivelate, religiose, scientifiche, ideologiche che siano.
Ma non sempre entrambe le posizioni ci soddisfano, anzi: potremmo dire che il confronto con situazioni in cui la fede si infrange sullo scotto delle proprie responsabilità e la logica cede il posto a soluzioni tutt’altro che ragionevoli è pressoché quotidiana. Il progresso cognitivo e scientifico-tecnologico, se da un lato possono creare l’illusione di poter controllare e gestire ogni cosa, a uno sguardo più attento altro non ci regalano se non metterci di fronte alla complessità e relatività del reale.
“Pensare e ripensare alle cose e, in particolare, alle scelte da adottare, è forse il problema più frequente, fonte di ansia, sofferenze, e spesso incapacità personali e relazionali […] una vera e propria ‘psicopatologia della vita quotidiana’ ” scrivono G. Nardone e G. De Santis.
Proviamo a spostare il punto di vista: siamo proprio certi che l’incertezza generi ansia? Quando cerchiamo di controllare che tutto vada bene, sia sicuro o prevedibile… fare questo ci rassicura davvero?
Noi oggi vorremmo parlare del rischio. Il rischio di sbagliare, di non fare la cosa giusta, di guardare in faccia la paura, di stare male, di non essere in grado, di soffrire; ma anche di amare, di confrontarsi, di essere coraggiosi, di vincere, di riuscire, di sperimentarsi in qualcosa di nuovo, di star bene.
Rischiare l’incertezza, prendersi il rischio di stare nell’incertezza. Partendo magari da piccole cose, piccolissime azioni, perdite di controllo infinitesimali.
E allora il rischio è veramente così rischioso?
Luigi si presenta nel nostro studio confuso, deve trovare lavoro, tra un ventaglio di opzioni deve scegliere quella più giusta per lui, cerca di valutare cosa è più razionale fare: trova molte risposte che aprono altrettante domande e rimane fermo, bloccato nei pensieri, senza un impiego.
Caterina è single da circa 9 anni: appena incontra un uomo che le piace si domanda: “E se non fosse lui quello giusto per me?”. In cerca di una risposta sicura ha rinunciato a molte storie e oggi non è più in grado di averne di nuove. Il solo parlarne la manda nel panico e scoppia in crisi di pianto senza fine, ormai certa che l’abito bianco non lo indosserà mai.
Elena quando è arrivata da noi aveva paura di soffocare con il cibo, per questo non ingeriva quasi più niente di solido e consumava i pasti in piedi. Lei, che si era sempre vantata con tutti di essere un’amante della buona cucina, paladina del “Non si può pensare bene, né amare bene, né dormire bene, se non si è pranzato bene” (V. Woolf “Una stanza tutta per sé”). Oggi è diventata bravissima ad assumersi dei piccoli rischi quotidiani, ricominciando a mangiare, vivendo quell’indeterminazione che prevede, tra le tante, anche la remota ma effettiva possibilità di morire soffocati, mangiando. Si è innamorata e spesso, dopo pranzo, schiaccia un pisolino.
Claudio ha avuto tantissima paura…della paura, a tal punto che tutte le sue attenzioni e le sue energie erano catalizzate da un solo pensiero: “Potrei star male ed avere un attacco di panico”. Ovunque, sempre, con chiunque. Viveva di accortezze, tante precauzioni che limitassero la possibilità di star male. Tuttavia il male era sempre con lui. Si è impegnato molto e dopo 7 incontri tutto quel malessere è solo un brutto ricordo. Evita di fare molte cose che prima riteneva necessarie ma che in realtà peggioravano la sua situazione, anziché migliorarla: si sottrae alla tentazione di essere rassicurato e di rassicurarsi che non soffrirà, non mette più in tasca ansiolitici, affronta le cose da solo e si gode molte situazioni che prima viveva “col freno a mano tirato”.
Persone molto diverse fra loro per età, stile di vita, sesso, provenienza geografica, sociale e culturale, problemi da risolvere. Quello che hanno in comune? La ricerca di certezze che in fondo e infine li fa essere tutti dei grandi insicuri. Con le varianti del caso, la ricetta potrebbe essere una sola: la terapia dell’incertezza, quella che ci piace di più