Nella pagina del nostro sito dove si parla del modello di intervento da noi utilizzato, abbiamo spiegato come costruiamo le nostre psicotrappole attraverso le tentate soluzioni disfunzionali. Ricapitolando in breve, le psicotrappole non sono altro che le sofferenze che ci costruiamo da soli attraverso i nostri tentativi di risolvere il problema che non funzionano e che vengono reiterati.
Abbiamo vari tipi di psicotrappole 8 dell’agire e 7 del pensare. Le combinazioni tra esse vanno a creare dei veri e propri disturbi. Ma facciamo un esempio concreto per capire meglio:
Le psicotrappole del fobico
Le tipologie di psicopatologia fobica sono numerose e differenziate in ciò che le scaturisce: paura di perdere il controllo e impazzire, di arrossire in pubblico, agorafobia, claustrofobia, svariate zoofobie, paura di morire di una malattia fulminante, la più comune paura di volare ecc. Tuttavia la modalità da cui a partire dallo stimolo si giunge alla patologia è pressoché sempre la stessa. Tutti coloro che soffrono di una paura patologica metto in atto tre psicotrappole che, combinate tra loro, trasformano la paura da sana a patologica bloccando la persona nella trappola che si è costruita:
- la prima psicotrappola è la tendenza ad evitare le situazioni che teme;
- la seconda è la tendenza a chiedere rassicurazioni e protezione alle persone vicine;
- la terza è il tentativo di controllare le proprie reazioni psicofisiologiche, come il battito cardiaco o la frequenza respiratoria.
Gli Effetti
- Evitare una situazione che mi spaventa ha come effetto la conferma a me stesso dell’incapacità di gestire la condizione, rafforzandone così la pericolosità percepita. Processo che conduce all’aumento esponenziale della paura.
- Stesso identico effetto viene prodotto con la tentata soluzione di cercare rassicurazioni, infatti facendomi aiutare dagli altri confermo a me stesso le mie incapacità.
- Paradossale invece è l’effetto della terza psicotrappola legata al controllo. Infatti più cerco di controllare il battito cardiaco, più questo aumenta; più cerco di regolarizzare il respiro, più ne altero il ritmo.
Quando queste tre tentate soluzioni fallimentari vengono messe in atto contemporaneamente e diventano una modalità naturale di reagire alla realtà, saranno sufficienti pochi mesi per costruire un disturbo da attacchi di panico.
Ovviamente esistono gravità differenti:
lieve, quando il soggetto subisce la paura in determinate circostanze o situazioni minacciose, ma non è invalidato nelle vita quotidiana;
media, quando il soggetto è totalmente travolto dalla paura di fronte a situazioni per lui spaventose, ma al di fuori di quelle situazioni ha una vita normale;
severa, quando la persona è talmente invalidata che non riesce a gestire la paura la quale si può presentare in ogni momento della sua vita trasformandosi spesso in panico (Nardone, 2013).
Psicosoluzioni
È evidente che il primo passo da fare sia rompere questo circolo vizioso controproducente che la persona mette in atto attraverso i propri tentativi fallimentari di gestire la paura. Si potrebbe pensare che basti spiegare al soggetto dove sbagli e chiedergli di correggere il comportamento. Questo non è sufficiente, infatti ogni sistema vivente resiste al cambiamento del proprio equilibrio anche quando quest’ultimo è chiaramente disfunzionale. La tecnica principe per gestire la paura è “la peggiore fantasia” che consiste nel guidare la persona a impara a guardare in faccia la paura per trasformala in coraggio.
Quello che propone lo studio Battinelli-Scozzi è di lavorare su queste difficoltà nel gestire la paura in modo da evitare che si crei una patologia invalidante. Senza l’ausilio di farmaci ma attraverso l’utilizzo di tecniche specifiche che hanno l’obiettivo di interrompere il circolo vizioso facendo uscire la persona dalla trappola mentale e comportamentale che si è costruita. Ottenendo un cambiamento mirato nell’arco di qualche mese di percorso psicologico. Infatti siamo d’accordo con Giorgio Nardone quando afferma che per questo tipi di patologia “non è necessario sottoporsi a terapie prolungate negli anni, focalizzate sul pensiero e ragionamento del soggetto: i meccanismi che alimentano la paura patologica riguardano comportamenti solo in parte mediati dalla coscienza e dalla ragione”.
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